New Orleans, 14 marzo 1891: Il linciaggio degli italiani
New Orleans, 14 marzo 1891. Una folla inferocita assalta il carcere di New Orleans e cerca di stanare le sue prede cella per cella. Il suo obiettivo, diciannove immigrati italiani in attesa di scarcerazione dopo essere stati prosciolti dall’accusa di aver ucciso il capo di polizia. Ne troveranno undici e ne faranno scempio, un terribile linciaggio che passerà alla storia.
David Hennessy
16 ottobre 1890. David esce dal saloon e si accinge a tornare a casa, all’indomani lo aspetta il processo per il ferimento del giovane Matranga. A 33 anni Hennessy è un uomo realizzato ed è diventato capo della polizia di quella città maledetta e corrotta. Certo, alcuni lo ritengono sul libro paga della famiglia mafiosa dei Provenzano, ma la verità non la saprà mai nessuno. Il dolore arriva improvviso, insieme ad un rumore sordo. Nonostante lo shock estrae la pistola e comincia a sparare contro le ombre che lo stanno crivellando, ma invano. Un altro proiettile lo colpisce all’addome, poi un altro e un altro ancora. Infine, il buio.
David però non è ancora morto e mentre è sotto morfina bisbiglia ai medici: “Mi hanno tirato, ma io ho risposto. Ho fatto del mio meglio”. Poco prima di spirare – forse – riesce a dire un’ultima parola al suo amico Bill. Non sappiamo se ciò accadde davvero, come non sappiamo se Bill comprese bene o male – in buona o cattiva fede – ma quel singolo vocabolo avrebbe innescato uno dei più sanguinari linciaggi della storia americana. La parola era Dagoes.
Chi erano i Dagoes?
Secondo molti questo termine deriva dalla parola dagger, pugnale, ossia l’arma preferenziale dei mafiosi – in quel periodo si contendevano il controllo del porto i clan dei Matranga e dei Provenzano. Per altri sarebbe una forma contratta di they go (se ne vanno) oppure una derivazione di Diego, considerato il nome latino per eccellenza. Quale che fosse l’origine di questo epiteto, esso era utilizzato per appellare con disprezzo i membri della comunità italiana, soprattutto i meridionali.
Nella New Orleans di fine ‘800 la comunità italiana era numerosa, circa il 12% della popolazione, ed era ritenuta la sorgente di tutti i mali. Considerati sporchi, responsabili di ogni crimine e ladri di lavoro, gli immigrati erano malvisti dai cittadini e dalle autorità e definiti mezzi neri. In un’America che aveva abolito lo schiavismo meno di trent’anni prima e che avrebbe abrogato – per lo meno sulla carta – la segregazione razziale solo settant’anni dopo, questo ci dà abbastanza l’idea della della situazione.
La caccia all’italiano
La notte della morte di Hennessy la polizia prese letteralmente d’assalto i quartieri italiani, estorcendo testimonianze con la violenza e arrestando indiscriminatamente centinaia di immigrati. Alla fine furono mandati a processo 19 siciliani, alcuni piccoli criminali, altri considerati da tutti persone oneste. Nonostante il clima di tensione, la giuria li assolse data la totale mancanza di prove.
La risposta al proscioglimento fu brutale. Sessantuno “eminenti” cittadini invitarono tramite i giornali tutte le “brave persone” a recarsi davanti al carcere per farsi giustizia da sé. Gli esseri umani dovrebbero imparare quanto certe idee siano sciocche, disumane e pericolose, ma i recenti eventi alla Casa Bianca ci mostrano nettamente il contrario.
Una folla armata fino ai denti assaltò quindi la prigione e cominciò a cercare i diciannove italiani. Il direttore dell’istituto cercò di mettere in salvo i prigionieri, facendoli uscire dalla celle e nascondere, ma solo pochi riuscirono a salvarsi dal linciaggio.
Il linciaggio
I siciliani trovati furono massacrati quasi tutti a colpi di fucile. Uno di loro, ferito, fu trasportato dalla marea umana fino ad un lampione ed impiccato. Un altro uomo fu appeso per il collo ad un albero, ma la corda non resse e il corpo cadde di schianto. L’italiano, agonizzante, fu issato nuovamente. Dei diciannove prigionieri ne furono uccisi undici, i loro cadaveri profanati e fatti a brandelli. Il console italiano accorse sul posto appena saputa la notizia, rischiando di essere trucidato a sua volta.
L’ambasciatore Fava non tardò a chiedere conto al governo americano di quanto accaduto, forte anche del fatto che un patto tra Italia e Stati Uniti prevedeva che gli immigrati godessero della stessa protezione degli altri cittadini. Fava chiese che mandanti ed esecutori fossero puniti e che le famiglie fossero indennizzate, ma a causa di un problema normativo dovuto alle diverse competenze del Governo Centrale e dei vari stati degli Stati Uniti la sua domanda non fu accolta e il linciaggio rimase impunito.
La crisi diplomatica
I rapporti tra i due paesi si inasprirono a tal punto che i rispettivi ambasciatori furono ritirati. I giornali si sbizzarrirono in una serie di vignette satiriche volte a mettere l’Italia alla berlina e la situazione peggiorò ulteriormente quando il Gran Giurì – una particolare giuria che stabilisce le prove sono sufficienti per un processo – di New Orleans dichiarò innocenti i responsabili del linciaggio in quanto “non era possibile processare una città intera”. I giudici, inoltre, scaricarono ogni responsabilità sul governo italiano: se l’Italia fosse stata in grado prendersi cura dei suoi abitanti, questi non sarebbero emigrati.
Lo strappò si ricucì nel dicembre successivo quando il presidente Benjamin Harrison, durante il discorso annuale al Congresso, definì gli eventi accaduti in Louisiana come un crimine contro l’umanità – anche se ci tenne a precisare che l’offesa non era stata inflitta dagli Stati Uniti – e fece in modo che famiglie fossero risarcite.
Le scuse della città di New Orleans, con leggerissimo ritardo, sono arrivate nel 2019, ad opera della sindaca LaToya Cantrell.
Dalla vicenda è stato tratto il film Vendetta, con Christopher Walken.