Il Bazar de la Charité e il sogno infranto della Belle Époque
La Parigi della Belle Époque era permeata dall’entusiasmo per le nuove scoperte scientifiche e per lo straordinario slancio culturale, ma il 4 maggio del 1897 un tragico evento la travolse. Ne fu teatro il Bazar de la Charité.
La Parigi di Toulouse-Lautrec
Alla fine del 1800 Parigi era reduce da un lungo periodo di stravolgimenti. A quasi un secolo dalla rivoluzione francese aveva visto alternarsi molteplici forme di governo, passando dal Terrore a quella che venne chiamata la Terza Repubblica, alternando periodi di assolutismo, monarchia e governo del popolo. Quando finalmente fu raggiunta la stabilità politica interna la Francia era stata investita da una terribile crisi economica, la Grande Depressione, che partendo dall’Austria si era propagata a macchia d’olio, arrivando persino in America.
Uscita da questo periodo di stallo, finalmente la Francia entrò in una fase di ripresa, in cui la vita dei cittadini cambiò radicalmente. Parigi era in ascesa anche grazie al grande successo della Torre Eiffel e l’arte, che già aveva dato vita al movimento impressionista, fioriva prepotente.
Era la Parigi di Toulouse-Lautrec, di Manet, del can can e di Apollinaire e i suoi abitanti erano favoriti da straordinarie innovazioni che mutarono il loro quotidiano, come l’elettricità e l’automobile. In questo clima di speranza fu proprio l’errato utilizzo di una neonata tecnologia a provocare una tragedia.
Il Bazar de la Charité
C’era un’atmosfera festosa quel pomeriggio, nell’ampio capannone di legno decorato in stile medioevale con stoffe e cartapesta. L’edificio, di circa mille metri quadri, era stato suddiviso in tre navate grazie a dei banconi. A completare l’arredamento c’erano una loggia per gli uffici, un salottino per le donne e un ricco e appetitoso buffet. Infine, affacciata verso l’ampio cortile posteriore c’era una stanza senza finestre deputata all’attrazione più grande: il cinematografo.
Era lì che quell’anno si teneva il “Bazar de la Charité”, una fiera di beneficenza nata nel 1885 che vedeva la partecipazione dei cittadini – e soprattutto delle cittadine – più ricche della città. Tra le ospiti sicuramente la più illustre era Sofia Carlotta di Baviera, sorella di Sissi, che, pur essendo ancora sposata con duca di d’Alencon, da alcuni anni si era unita ad un ordine monastico. Col nome di Suor Maddalena aveva cominciato a dedicarsi a opere di bene. Insieme a lei c’erano più di 800 persone, in larga maggioranza donne, quando il fumo e il fuoco invasero il salone.
La folla in preda al panico si lanciò verso le due uscite, ma non c’era spazio per tutti e a poco valse il pur tempestivo intervento dei vigili del fuoco. Il grande capannone arse velocemente, portandosi via la vita di 126 persone e lasciandone centinaia ferite e ustionate. Sofia Carlotta di Baviera scelse di far fuggire prima i più giovani e di lasciare la stanza solo quando gli altri fossero stati in salvo, ma non uscì mai da quell’inferno di fuoco. Morì abbracciata alla viscontessa de Beauchamp.
“Che cosa hanno fatto gli uomini?”
Fu questa la domanda che si pose Caroline Remy, giornalista nota sotto lo pseudonimo di Severine, all’indomani della tragedia. Tra le 126 vittime c’erano solo 5 uomini e questo – scriveva Caroline – non era dettato solo dal fatto che fossero presenti in numero minore. Le sue fonti sostenevano che gli aristocratici si fossero fatti largo a colpi di spinte e di bastone, calpestando le donne più lente nei loro abiti ingombranti. Al loro contrario, operai, cuochi e garzoni avevano fatto di tutto per salvare quanta più gente possibile. Circa cinquanta persone erano state tratte in salvo dai lavoranti di una tipografia vicina e oltre centocinquanta dal personale dell’albergo confinante, L’Hôtel du Palais.
Le cause dell’incendio
Mancavano poco alle 16.15 quando la lampada in dotazione al proiezionista, monsieur Bellac, si spense. La stanza in cui si trovavano era priva di finestre e la pesante tenda che li separava dagli spettatori non lasciava certo filtrare molta aria.
Allora come fonte di luce “portatile” non si usava l’elettricità, ma un sistema ad etere-ossigeno, per di più le pellicole erano di celluloide e fortemente infiammabili. In una stanza chiusa e satura di vapori sarebbe bastata una scintilla per provocare un terribile incendio
Quando Bellac chiese al suo assistente di fargli luce, questi, ignaro della pericolosità, accese un fiammifero e il fuoco divampò in pochi istanti e raggiunse velocemente il tetto e i drappi di stoffa che ornavano il salone il principale. Solo quando il Bazar de la Charité fu completamente distrutto le fiamme si estinsero.
I corpi rinvenuti furono per larga parte irriconoscibili e identificati non solo grazie agli effetti personali, ma anche alle impronte dei denti. Erano state poste le basi per l’odontoiatria forense.
Alle vittime fu dedicata la costruzione dell Cappella di Nostra Signora della Consolazione, fatta edificare proprio sul luogo della tragedia.
Nel 2019 su Netflix ha debuttato una miniserie francese che ha come teatro proprio il rogo del Bazar de la Charité, il cui inglorioso titolo italiano è Destini in Fiamme.