Tanaquil, la strategica Etrusca sul trono di Roma
Molto spesso si tende a pensare che le figure femminili dell’antica Roma emergano solo nell’età imperiale. La cosa è in parte vera, ma anche nei periodi precedenti troviamo esempi fulgidi di donne che seppero farsi strada in un mondo costruito su misura per gli uomini. Tra queste, emerge prepotente la figura di Tanaquil, vissuta tra il VI e il VII secolo prima di Cristo.
Un donna etrusca
Lo diciamo subito, Tanaquil è etrusca, e qui sta la sua grande forza. Gli Etruschi, infatti, anche se a un certo punto devono arrendersi alla forza di Roma, sono un popolo per certi versi molto più avanti a livello culturale e sociale. Tanaquil, infatti, fa parte di una famiglia molto influente soprattutto a livello religioso, ma si interessa di politica, medicina e cultura fin da giovane. Tutte cose permesse e incoraggiate tra le donne etrusche, a differenza che nella vicina Roma.
Tanaquil sposa Lucumone, per metà etrusco e per metà greco.
Lucumone è saggio e generoso, oltre che un valido guerriero. Eppure, in casa di Lucumone, quella sveglia e infallibile nelle decisioni strategiche – come capita molto spesso anche oggi – è la donna. Nonostante le ottime caratteristiche, a Tarquinia Lucumone è osteggiato per le origini greche che, peraltro, gli impediscono di ambire a cariche pubbliche.
Verso Roma
Ed è proprio Tanaquil a convincerlo a cercare fortuna a Roma. Lei stessa, abile nella guida dei veloci carri da corsa etruschi, carica il “pilentum” coi loro averi e lo guida con sicurezza fino a Roma. Appena arrivati, accade un fatto bizzarro (e probabilmente leggendario): un’aquila ruba il berretto di Lucumone e scappa. Quando si accorge che non è edibile, ci ripensa, torna indietro e glielo restituisce con tante scuse.
Tanaquil lo sa: il marito ha tanti pregi ma non quello dell’ottimismo. Quell’episodio, il buon Lucumone lo vede come un cattivo presagio e incline com’è alla profezia autoavverante rischia di demotivarsi e mandare tutto in malora ancora prima di essere arrivato a Roma. Tanquil allora rigira la frittata e, da buona sacerdotessa, interpreta il fatto come un segno propizio.
Lucumone si convince e farà grandi cose.
Col nome di Tarquinio Prisco, e grazie all’abilità della moglie nel farlo inserire nei giri buoni di Roma, l’uomo supera i pronostici più ottimisti e diventa il quinto re di Roma. Tarquinio, sempre sotto l’egida di Tanaquil, governa bene in ogni ambito, ma si attira l’ira funesta del maggiore dei figli di Anco Marzio, il re precedente, che ritiene il regnante un usurpatore.
Con uno dei primi complotti di Roma, i congiurati uccidono il re.
Servio Tullio
Tanaquil, però, non perde il sangue freddo: fa nascondere il cadavere e – con la morte nel cuore e il sorriso da superstar in volto – arringa i romani dicendo che Tarquinio è sopravvissuto e ha designato come suo sostituto in attesa di guarire il genero Servio Tullio. Il giovane è a sua volta etrusco, di umili origini, e deve al genio strategico di Tanaquil la sua fortuna.
Tanaquil sarà però delusa da Servio Tullio. Il genero prende il potere con la promessa che il figlio di Tarquinio, una volta maggiorenne, lo sostituirà. Quando Servio afferra il potere, però, non ci pensa proprio di mollarlo e il turnover previsto rimane solo sulla carta. Tanaquil si ritira nell’ombra, anche se per un po’ aiuta il nuovo re nel governo. Quando muore, la donna è divinizzata come Dea Gaia.
Tito Livio la ricorda come potente sacerdotessa e donna capace, mentre quel misogino di Giovenale non riesce ad accettare che una donna sia così potente e che non rinunci al suo nome. Il poeta mistifica la realtà scrivendo che Tanaquil “resta nella memoria come una strega o quasi, si connota nel sentire comune come spregiudicata e interessata”.
Delle menzogne vere e proprie, ma quante volte capita ancora oggi – dopo oltre due millenni – che una donna di potere e intelligenza venga criticata per i suoi comportamenti privati e per presunte dissolutezze? Le stesse che, nel caso degli uomini, sono viste come segni di abilità e virilità. Perché certe cose, in fondo, non cambiano mai del tutto.