La Cappella Sansevero: il Cristo velato e il Disinganno

La Cappella Sansevero: il Cristo velato e il Disinganno

4 Luglio 2024 Off di Anna Maria Pierdomenico

A Napoli, nei pressi di San Domenico Maggiore, c’è quella che un tempo era la cappella privata della famiglia Sansevero e che tutt’oggi ospita degli incredibili capolavori, tra cui ricordiamo Il Cristo Velato e Il Disinganno.

Il Cristo Velato: quando il marmo di fa tessuto e carne

“E più nulla. Cioè no: sul Cristo morto, su quel corpo bello ma straziato, una religiosa e delicata pietà, ha gettato un lenzuolo dalle pieghe morbide e trasparenti, che vela senza nascondere, che non cela la piaga ma la mostra, che non copre lo spasimo ma lo addolcisce”.
Così Matilde Serao descriveva il Cristo velato, celeberrimo capolavoro conservato nella cappella Sansevero di Napoli. La statua fu realizzata da Giuseppe Sanmartino (1753), su commissione di Raimondo di Sangro, principe di Sansevero, che aveva progettato di destinarla al Mausoleo di famiglia – al di sotto dell’ubicazione attuale.
La magistrale realizzazione del velo ha nei secoli dato luogo ad una leggenda alquanto peculiare. Raimondo di Sangro era un noto alchimista e si diffuse la diceria che avesse insegnato a Sanmartino come mutare il tessuto in marmo.
Del Cristo Velato esistono due copie: una nella Chiesa e convento di Santa Maria del Sepolcro di Potenza ed una nell’Abbazia di San Giovanni Evangelista di Parma.

Il Disinganno, “l’ultima prova ardita a cui può la scultura in marmo azzardarsi”

Così fu definito il gruppo scultoreo dallo storico e filosofo Giangiuseppe Origlia. Opera totalmente nuova nel suo genere, “Il Disinganno” di Francesco Queirolo (1753-54) fa bella mostra di sé nella Cappella Sansevero di Napoli, a poca distanza del più noto “Cristo Velato”. La statua fu commissionata da Raimondo Di Sangro e dedicata a suo padre Antonio – ho il sospetto che un po’ volesse omaggiarlo un po’ volesse togliersi un sassolino dalla scarpa.
Perché dico questo?
L’opera rappresenta un uomo intento a togliersi di dosso una rete che simboleggia il peccato. Antonio, dopo la morte della moglie, si era dato ad una vita dissoluta e aveva affidato il figlio al nonno. Tornato a Napoli ormai anziano, l’uomo si era pentito delle sue intemperanze e si era fatto prete.
L’uomo è aiutato a liberarsi dalla rete del peccato da un putto, simbolo dell’intelletto umano, che con la mano destra indica il globo terrestre, simbolo della mondanità. La bibbia aperta sull’episodio di “Gesù che dona la vista al cieco” rappresenta invece la redenzione.
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