La statua di Zeus a Olimpia
La quinta delle meraviglie fu commissionata a Fidia, secondo la tradizione il più grande scultore dell’antichità, per andare ad abbellire il grande tempio di Zeus a Olimpia. L’opera fu completata nel 433 a. c. ed è un ottimo esempio per capire come il tempo fosse concepito dagli antichi.
La costruzione
Il tempio, infatti, venne completato nel 456 a. c. e solo dopo vent’anni la statua venne commissionata a Fidia. Lo scultore aveva impressionato tutti realizzando la statua di Athena Parthénos posta nel Partenone e a sua volta perduta. Fidia si trasferì a Olimpia, dove gli venne messa a disposizione una struttura appositamente creata per i lavori e completò la statua in tre anni.
Insomma, gli antichi avevano molto meno tempo di noi ma se la prendevano decisamente comoda, a testimonianza di una percezione totalmente diversa.
Fidia, per costruire l’enorme scultura, si servì probabilmente di molti collaboratori.
Ma com’era fatta la statua di Zeus?
“Il dio, fatto d’oro e d’avorio, è seduto in trono. Gli sta sulla testa una corona lavorata in forma di ramoscelli d’ulivo. Nella mano destra regge una Nike, anch’essa criselefantina, con una benda e, sulla testa, una corona. Nella mano sinistra del dio è uno scettro ornato di ogni tipo di metallo, e l’uccello che sta posato sullo scettro è l’aquila. D’oro sono anche i calzari del dio e così pure il manto. Nel manto sono ricamate figurine di animali e fiori di giglio.”
La descrizione è di Pausania ed è molto utile per ricostruire le imponenti forme dell’opera. Infatti, nonostante fosse considerata una delle sette meraviglie e la sua lunga resistenza nel tempo (circa mille anni), non ci è arrivata nessuna copia. La vita dello Zeus di Olimpia fu lunga e tranquilla. Nonostante Caligola se ne fosse invaghito, brigando in ogni modo per portarla a Roma, rimase al suo posto per ottocento anni.
All’inizio del V secolo, Lauso, che era un alto funzionario bizantino con le mani in pasta dappertutto e con una sterminata collezione di opere d’arte pagana, la fece portare a Costantinopoli. Visto che il tempio era in stato di abbandono, la sua azione parve provvidenziale per salvare la statua dalla distruzione.
La scomparsa
E invece, un po’ come per il soldato di Samarcanda, il povero Zeus trova la sua fine proprio nel palazzo di Lauso. Un incendio – da far risalire forse all’editto di Teodosio II che intimava la demolizione di luoghi e simboli pagani – distrusse la statua nel 475.
Altre curiose notizie sulla scultura ci arrivano da Strabone, il quale attribuisce a Fidia una frase secondo cui si sarebbe ispirato per le forme di Zeus a un passo dell’Iliade: “Disse, e con le nere sopracciglia il Cronide accennò; le chiome ambrosie del sire si scompigliarono sul capo immortale: scosse tutto l’Olimpo”.
Lo stesso Strabone parla dell’imponenza dell’opera (il solo basamento occupava un’area di più di sei metri per dieci, e l’intera statua doveva superare i 12 metri di altezza), accentuata dalla proporzione col tempio. Lo storico, con la salvifica ironia che a volte caratterizzava l’antichità pagana, dice che se Zeus avesse deciso di alzarsi avrebbe finito per scoperchiare il tetto del tempio col suo regale testone.
Della statua, si sarà capito, non rimane nulla, mentre a Olimpia è stata rintracciata la bottega di Fidia, insieme a numerosi attrezzi e matrici utilizzati per la costruzione.