Isabella di Morra, la poetessa condannata all’oblio
Isabella di Morra è stata una poetessa della prima metà del 1500, segregata e assassinata dai suoi stessi fratelli. La sua poetica, lasciata per secoi nell’oblio, è stata ricoperta grazie a Benedetto Croce ed è considerata anticipatrice di quella romantica.
Un uccello in gabbia
Isabella nacque a Favale (l’odierna Valsinni, MT) da una famiglia aristocratica. La sua data di nascita non è conosciuta con certezza, ma gli studiosi la fanno risalire al 1516 o al 1520. Il padre, uomo colto e aperto, le trasmise il suo amore per la sua letteratura, ma fu ben presto costretto ad abbandonare la famiglia insieme ai figli maggiori. Il barone era infatti alleato di Francesco I e dopo la sconfitta di questi da parte di Carlo V era stato costretto a riparare in Francia.
Isabella di Morra rimase nel castello di famiglia con la madre e i fratelli minori, tra cui Decio, Fabio e Cesare. Questi decisero di rinchiuderla – con ogni probabilità per appropriarsi della sua dote – e di lasciarle il precettore come unico contato col mondo. L’insegnante e la poesia furono quindi il suo solo baluardo contro la solitudine.
La “grande colpa” della fanciulla fu lo scambio epistolare con Diego Sandoval de Castro, poeta di origine spagnola e barone del vicino paese di Bollita. Lo scambio di missive, la cui natura romantica o intellettuale rimane sconosciuta, avveniva con l’aiuto del precettore e le lettere di Diego erano a nome di sua moglie, Antonia Caracciolo.
Non è chiaro come i fratelli scoprirono la corrispondenza, ma la loro reazione fu brutale. Ritenendo la sorella coinvolta in un adulterio la pugnalarono a morte. Poco prima anche l’istitutore era caduto sotto i colpi dei tre giovani. Dopo i delitti due dei fratelli fuggirono per paura della giustizia, ma poco dopo i tre uomini si riunirono e con l’aiuto di due zii assassinarono Diego a colpi di archibugio. Era il 1546.
Una morte senza importanza
Alla morte di Isabella di Morra – ahimè – non venne data troppa rilevanza, lavare col sangue l’onta subita da una donna era considerato accettabile. Diversamente andò per l’omicidio di Diego, ritenuto inammissibile, e i tre fratelli dovettero fuggire per evitare l’ira del viceré Pedro de Toledo.
Fabio, Decio e Cesare raggiunsero i familiari in Francia, sistemandosi alla corte francese grazie a Scipione, il loro influente fratello maggiore.
Altri due fratelli più giovani rimasero invece a Favale e furono processati e poi assolti, non essendo coinvolti nei fatti. Secondo la cronache, ai tempi dei delitti la madre di Isabella era ancora viva.
Delle poesie di Isabella ci rimangono le poche “messe agli atti” dagli inquirenti ai tempi del processo. Di ispirazione petrarchesca, esse sono però permeate di tormento e malinconia e ci mostrano tutta la frustrazione e il dolore di persona sola e oppressa.
Se a la propinqua speme nuovo impaccio
o Fortuna crudele o l’empia Morte,
com’han soluto, ahi lassa, non m’apporte,
rotta avrò la prigione e sciolto il laccio.
Ma, pensando a quel dì, ardo ed agghiaccio,
chè ‘l timore e ‘l desìo son le mie scorte;
a questo or chiudo, or apro a quel le porte,
e, in forse, di dolor mi struggo e sfaccio.