Le antiche chiese d’Abruzzo
Tra le tantissime chiese medievali d’Abruzzo, ce ne sono due che nonostante gli insulti del tempo – o forse chissà, proprio per quelli- sono particolarmente suggestive: Santa Maria di Cartignano e San Martino in Valle.
Santa Maria di Cartignano
Percorrendo la statale verso l’Aquila in direzione del capoluogo e costeggiando il comune di Bussi Sul Tirino vi imbatterete in uno spettacolo inaspettato. Alla vostra sinistra, leggermente più in basso rispetto alla carreggiata, fa capolino la piccola chiesa medioevale di Santa Maria di Cartignano. Le prime tracce della sua esistenza risalgono al 1021, in una bolla papale in cui l’edificio appare dedicato a San Benedetto.
Negli anni successivi divenne monastero dipendente dall’abbazia di Montecassino e la chiesa fu intitolata a Santa Maria di Cartignano. Si sa poco dei secoli seguenti, ma tra il 1500 e la fine del 1600 fu abbandonata dai monaci e passò prima sotto l’egida di San Liberatore a Majella, gioiello del Romanico d’Abruzzo, poi sotto quella dei Celestiniani della Badia Morronese di Sulmona. Le notizie successive sono frammentarie, ma sappiamo che alla fine del 1800 versava in uno stato di grave abbandono.
Costituita da tre navate, di cui quella centrale culmina con l’abside semicircolare, ci mostra ancora la torre campanaria e la splendida facciata frontale, su cui fa bella mostra di sé una finestra con rosone. A causa di numerosi terremoti il tetto è andato perduto, redendo tuttavia la chiesa ancora più suggestiva e richiamando la più famosa e imponente San Galgano. Dopo il lungo periodo di incuria a cui è stata soggetta dal 1800 fino al dopoguerra, la chiesa è stata finalmente ripulita dalla fanghiglia dovuta agli straripamenti del Tirino e recuperata. Su alcuni capitelli sono ancora visibili motivi vegetali e animali e dentellature geometriche. Gli affreschi e gli oggetti sacri rinvenuti sono ora nel Museo Nazionale d’Abruzzo dell’Aquila.
San Martino in Valle
Quest’estate ho avuto occasione visitare le gole di Fara San Martino. Secondo una tradizione la spettacolare forra è stata opera di San Martino, che avrebbe aperto il passaggio con la sola forza delle sue braccia, ma il vero artefice è in realtà il fiume Verde che ha eroso la roccia nel corso del tempo. Appena entrati nelle gole ci troviamo davanti uno spettacolo incredibilmente suggestivo: le rovine dell’abbazia di San Martino in Valle, una piccola meraviglia dell’Abruzzo medioevale aggrappata alla roccia.
Oggi possiamo osservare un cancello, il cortile interno delimitato da un portico, il campanile e parte delle tre navate, una delle quali permette ancora di accedere ad una porzione scavata nella roccia, probabilmente un antico eremo. I primi cenni storici sull’edificio risalgono all’829, in un documento che lo elencava tra i vari possedimenti del monastero di Santo Stefano in Lucania di Tornareccio, a cui molti anni prima era stato donato da Pipino il Breve, padre di Carlo Magno.
L’abbazia passò poi di mano e nel 1044 il conte teatino Credindeo la donò ad un sacerdote di nome Isberto per fondarvi un monastero benedettino. Tra il ‘400 e il ‘500 il luogo di culto subì prima la soppressione del monastero da parte del Papa e poi le razzie dei Turchi e le notizie su di esso diventano nebulose fino al 1789, quando tornò sotto l’arcidiocesi di Chieti. L’8 settembre 1818 l’abbazia fu abbandonata in seguito ad un’alluvione che la ricoprì di fango e detriti. Solo la punta del campanile rimase a testimoniare la sua esistenza. Con gli scavi del 2009 questa meraviglia è tornata alla luce e nel 2019 è stata set della miniserie rai “Il nome della Rosa”.
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