Italia Donati e il peso della calunnia
Si può morire per una calunnia? Si può soccombere sotto il peso della vergogna, delle risate di scherno, dell’umiliazione dell’essere additati per una colpa non commessa? E si può uccidere attraverso il pettegolezzo, nascondendosi dietro ad una presunta moralità?
Come muoiono le maestre
Sì, si può e lo sapeva bene Matilde Serao quando nel 1886 scrisse l’articolo Come muoiono le maestre, sull’eco della terribile vicenda di Italia Donati, suicida ad appena 23 anni a causa di quella che ora definiremmo una “fake news”.
Nell’Italia post-unitaria l’istruzione non era gestita dallo stato, ma dai comuni, e quindi il lavoro degli insegnanti dipendeva direttamente dai sindaci. Le maestre erano particolarmente bene accette dal punto di vista “amministrativo” perché pagate molto meno dei loro colleghi maschi, ma molto spesso si trovavano ad essere male accolte dalle comunità, in quanto ritenute responsabili di sottrarre i bambini al lavoro nei campi. In aggiunta erano vincolate a rigide regole di comportamento, tanto che per poter insegnare dovevano farsi rilasciare dal sindaco un attestato di moralità.
La maestra
Italia nacque a Cintolese, frazione di Monsummano Terme (Pistoia), da una famiglia modesta. Il suo maestro ne notò ben presto le capacità e convinse i suoi genitori a farle proseguire gli studi, nonostante le critiche della comunità e dei fratelli e sorelle stessi della fanciulla, che consideravano l’istruzione di una donna un lusso inconcepibile.
Italia Donati riuscì a concludere i suoi studi e nel 1883 le venne affidato il suo primo incarico a Porciano, ad una decina di chilometri da Cintolese. Come richiedeva la prassi, per prima cosa si presentò al sindaco, Raffaello Torrigiani. L’uomo, che viveva insieme alla moglie Maddalena, all’amante Giulia e alle figlie che le due avevano avuto da lui, minacciando velatamente di licenziarla la costrinse a prendere alloggio nella dependance della sua villa. Le continue avance dell’uomo furono respinte con fermezza, ma presto il paese cominciò a definirla “la terza donna del sindaco” e a tacciarla di immoralità.
Un’accusa infamante
Italia Donati ignorò le voci, immergendosi nel lavoro e assistendo i suoi alunni durante l’epidemia di tifo, andando casa per casa per curali e insegnare nozioni di igiene alle famiglie. Quando alla magistratura di Pistoia arrivò una denuncia anonima che accusava Italia di aver abortito con la complicità del sindaco, la situazione precipitò. Torrigiani fu costretto a dimettersi e Italia venne indagata dalla Procura del Re. Dichiarando a gran voce la sua innocenza, chiese persino di essere visitata, ma la sua richiesta non fu accolta. Il procedimento non proseguì e alla fine la ragazza ottenne di essere trasferita in un altro paese.
Il sacrificio
Arrivata a Cecina si rese però conto che le maldicenze l’avevano preceduta: scansata, derisa, additata come sgualdrina e accusata di essere incinta del padrone di casa, Italia Donati non resse. Dopo essersi appuntata la gonna con delle spille per evitare che la ritrovassero con le gambe nude, il 31 maggio 1886 si gettò in un fiume. Lasciò una lettera alla sua famiglia, protestando ancora una volta la sua innocenza e chiedendo due cose: di non essere sepolta a Cecina e che il suo corpo senza vita fosse esaminato. L’autopsia ovviamente rivelò la sua illibatezza. I suoi congiunti non poterono però pagare il trasferimento della salma e quindi la ragazza fu sepolta in un angolo remoto del cimitero di Cecina: il prete, impietosito, aveva comunque voluto seppellirla in terra consacrata. Quando la storia arrivò a Cintolese, la popolazione si unì per raccogliere il denaro necessario e riuscì infine a riportare a casa Italia.
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