Majella Madre
“Majella Madre”, la chiamiamo tutti così in paese.
Alessia si girò per un attimo e sorrise alla nonna, distogliendo lo sguardo dalla finestra. Le piaceva tanto guadare la cima della montagna che si ricopriva sempre più di neve.
“Vuoi sapere com’è nata?”
“Certo!”
“Allora vieni qui vicino a me e te lo racconterò.”
La bimba saltò giù dallo sgabello su cui si era appollaiata e corse dalla nonna. Le si accoccolò accanto e ascoltò attenta mentre l’anziana donna narrava…
Majella Madre
Maja si portò una mano davanti agli occhi per schermarli dalla luce del sole morente. Le era parso di intravedere qualcosa all’orizzonte, ma aveva timore di abbandonarsi alla speranza, da tanti giorni erano in balia delle onde su quella zattera che reggeva a malapena il loro peso. Volse lo sguardo sul figlio che le giaceva accanto. Ermete, il guerriero valoroso, ora era sdraiato al suo fianco in preda ad una violenta febbre, col volto cereo e imperlato di sudore. La tunica che indossava era ancora macchiata di sangue, laddove una lancia nemica gli aveva squarciato il fianco. Maja, dall’alto della volta celeste, aveva assistito alla scena ed era accorsa a portarlo via dal campo di battaglia. Nessuna donna mortale avrebbe potuto salvare Ermete, ma lei non era una donna mortale.
Osservò ancora e poté distinguere con chiarezza la sagoma di una città. Pregò Poseidone di farli giungere presto a destinazione e il dio, agitando il suo tridente, inviò delle alte onde che li depositarono dolcemente sulla sabbia tiepida. E così la più bella ninfa tra le Pleiadi, era finalmente giunta nel porto di Orton.
Maja era indicibilmente stanca, ma era infine riuscita a condurre Ermete sul Gran Sasso, unico luogo in cui cresceva l’erba in grado di salvarlo dal veleno che gli stava facendo bruciare il sangue. Nascose il figlio in una grotta, poi si affrettò nei boschi per cercare la piantina, ma si scatenò una terribile nevicata. La ninfa continuò a cercare disperatamente, ma la spessa coltre di neve aveva reso impossibile trovare l’erba medica. Quando tornò nella grotta, per Ermete era troppo tardi. Maja lo pianse per giorni, poi lo seppellì sulla cima della montagna. Il mattino dopo, quando i pastori si svegliarono per radunare le greggi, si trovarono davanti un prodigio: il corpo di Ermete era mutato in un enorme monte, che da allora fu chiamato “Il gigante addormentato”.
Maja, col cuore spezzato, non volle continuare a vivere senza l’amato Ermete e si lasciò andare alla morte. Le Pleiadi, sue sorelle, la adornarono con ricche vesti e la seppellirono su un imponente massiccio di fronte al Gran Sasso, affinché madre e figlio potessero vegliare l’uno sull’altra per l’eternità.
Da quel giorno la montagna che custodisce il corpo di Maja prese l’aspetto di una donna pietrificata e in suo onore venne chiamata Majella.
Ancora oggi, al soffiare del vento, sulla Majella è possibile ascoltare il lamento di Maja che piange il figlio perduto.
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